Le radici, anzitutto. L’importanza dei legami con il proprio passato, con l’ambiente naturale, con lo spirito dei tempi, con gli uomini che meglio hanno saputo interpretarlo. Non è un caso, allora, che da oltre mezzo secolo non manchi mai, nelle occasioni celebrative della Canottieri Sile, il riferimento agli scritti di due autori fondamentali: Giovanni Comisso e Giuseppe Mazzotti. Il primo, uno dei maggiori prosatori del Novecento italiano, si affidò alla memoria per rievocare ciò che la Società rappresentò fin dall’inizio per la gioventù trevigiana: <<…fu in vero un’impresa coraggiosa e insieme romantica. Romantica, nel senso che diede ai trivigiani un gusto naturalistico, paesaggistico e avventuroso di questo fiume stupendo il quale prima esisteva solo per le lavandaie e per i suicidi per amore. Prima di questa fondazione i trivigiani si accorgevano assai poco di questo fiume, la città era come una gemma non ancora incastonata in quell’aureo braccialetto che doveva completarla>>. E più avanti: <<Ricorderò sempre la prima gita (che vorrei chiamare: esplorazione) compiuta da quei giovani, fra i quali era mio fratello Gino, partendo da Treviso fino a Grado e attraverso il mare. Per noi ragazzi […] era come unire l’Atlantico al Pacifico con l’apertura del Canale di Panama. Significava che dalla nostra città per via d’acqua potevamo raggiungere le terre dell’Oriente fino alla Grecia. Ben presto – aggiunge Comisso – anche noi potemmo entrare nella società, usare dei sandali per vogare alla vallesana che ci allargava spalle e torace, nuotare in quelle acque vitree, profonde dove le erbe si attorcigliavano sinuose come chiome di donne sommerse e avere l’onore di fare da timonieri agli anziani nelle jole lunghe e sottili>>.
Già allora c’era la consapevolezza di una precisa identità della Canottieri Sile: la capacità di riunire differenti generazioni e assemblare i ceti sociali più diversi.
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